Viñales è il posto dove crescono le banane. O almeno, per mia figlia è così: è proprio qui che ha scoperto che crescono sugli alberi, in caschi, a testa in giù. Viñales è anche la cittadina dalle verande colorate, quasi tutte corredate da belle sedie a dondolo, un invito all’ozio più dolce, in questa valle che è un’ode alla lentezza, per chi arriva da lontano, da ritmi frenetici, e si ritrova in questo angolo di mondo dove, se si vuole, si può far finta di aver trovato da qualche parte una macchina del tempo e averla programmata per un viaggio indietro di un secolo.
A Cuba fino al 2011 nessuno possedeva di fatto una casa. Quando Fidel Castro salì al potere, tutte le abitazioni divennero proprietà dello stato, gli abitanti rimasero usufruttuari e tramandarono l’usufrutto di generazione in generazione. Il nostro viaggio, nel 2012, si colloca quindi nel periodo successivo a un grande cambiamento, un periodo di grande confusione, ma anche di euforia: finalmente i cubani diventavano proprietari delle loro dimore e si scoprivano improvvisamente liberi di comprare e vendere immobili. Arrivando a Viñales si nota subito che un’abitazione su due espone il cartello ” Casa particular”. Venendo dall’Avana, si nota anche che qua sembra esserci un tenore di vita più alto rispetto alla capitale, forse perché Viñales è la seconda località più visitata di Cuba e il turismo, che è un bel guadagno, e anche Fidel lo sapeva bene, richiede manutenzione. Comunque sia, i colori qui splendono di pittura fresca, ci sono diversi bar e ristoranti di buona cucina locale, un centro culturale, musica e manifestazioni varie. Questa cittadina, che si trova inserita nel quadro pittoresco del Parco nazionale di Viñales, dichiarato dall’UNESCO Patrimonio dell’Umanità, è un centro importante per la coltivazione del tabacco e del caffè e sono proprio le piantagioni, con le tipiche capanne di paglia usate per essiccare le foglie di tabacco, a caratterizzare il paesaggio di Viñales, con le verdi e imponenti montagne calcaree sullo sfondo, dalla forma esagerata, come quelle che disegnano i bambini. La Cuba rurale inizia, in realtà, già appena si lascia l’Avana. L’autostrada è percorsa da un numero così esiguo di auto che il nome autopista sembra inappropriato : si incontrano per lo più persone in bicicletta o carri trainati da cavalli.
A Viñales siamo stati accolti da un’abuelita, una nonnina, e dalla sua nipotina Daniela, che ci è corsa incontro gridando “niña” e non ci ha più mollati. Ci gironzolava intorno già dalla colazione e si infilava nella nostra stanza appena ne aveva l’occasione, in cerca di nostra figlia. La nonna, proprietaria della casa particolare, cercava di tenerla lontana, per timore che ci disturbasse, ma era impossibile! E poi, a noi faceva piacere. La signora dal canto suo, si occupava di noi con deliziose cenette servite in giardino e ci trattava con quello spontaneo calore cubano, che fa quasi dimenticare che in realtà si sta pagando per tutto quello che ci viene offerto. A ricordarcelo c’era il figlio, un tipo che faceva il simpatico, ma in realtà non perdeva occasione per proporci un tour o una visita a qualche piantagione, la vendita di sigari o il noleggio di qualcosa, insomma, lui aveva decisamente gli occhi a forma di Dollaro e cercava di spremerci il più possibile.
Di Viñales, oltre al paesaggio, ricordo soprattutto la luce dorata delle cinque, il momento migliore per passeggiare, quando la piazza centrale è in pieno movimento e le sedie a dondolo, sulle verande delle case, sono occupate da sorelline con le teste piene di treccine e grandi sorrisi, da nonni appisolati, donne che si riposano dopo il lavoro, madri con bambini piccoli. Oppure da turisti, sì, perché per quanto ci piaccia immaginare di aver scoperto una Cuba segreta, solo nostra, un angolo remoto e inesplorato, la realtà è che si cammina in mezzo a molti, moltissimi altri stranieri, che vengono qui per gli stessi nostri motivi, in cerca delle stesse cose. Ciò non toglie che Viñales sia un posto incantevole e ancora autentico dove rilassarsi per qualche giorno. In più, i colori delle case, delle auto americane degli anni cinquanta, gli uomini a cavallo, lo sfondo della valle e delle piantagioni, sono un vero invito alla fotografia. Quasi ogni angolo meriterebbe uno scatto. La sera, sulla piazza principale, suonano spesso dal vivo, un intrattenimento che abbiamo gradito noi adulti, ma che è stato particolarmente apprezzato da nostra figlia, famosa in famiglia per aver iniziato a ballare ancor prima di aver imparato a camminare e che a Cuba, in questo senso, si è trovata decisamente a suo agio.
Quando si viene a Cuba lo si fa anche per il suo mare e così, dopo Viñales, ci siamo spostati a Cayo Levisa, un paradiso dalla sabbia bianca e mare cristallino, che non c’è bisogno di descrivere, perché è la cartolina che tutti conoscono. Un posto dove gli unici cubani che si incontrano, sono quelli che lavorano per il resort. In realtà noi siamo stati sfortunati perché abbiamo trovato brutto tempo: nuvoloso ma soprattutto molto ventoso, al punto che era difficile stare in spiaggia.
Al rientro da Cayo Levisa e prima di tornare nella capitale, abbiamo deciso di trascorrere ancora qualche giorno al mare, nelle vicinanze di una spiaggia più “normale”, frequentata anche da cubani. Abbiamo scelto una piccola località a sud dell’Avana, che ha un aspetto meno da cartolina rispetto a Cayo Levisa, ma comunque con un bel mare e sicuramente con più personalità. Rimane nei ricordi di mia figlia come la spiaggia dove ha giocato con le noci di cocco. E nei miei ricordi, come la spiaggia pattugliata dalla polizia: giovani in uniforme stagliati contro il turchese del mare, tra la gente in costume, che prende il sole e fa il bagno. Due figure fuori posto, che sembra siano lì per sbaglio, ma che, almeno fino a qualche anno fa, facevano parte, anche loro, di quello che era Cuba. Una terra estremamente complessa e, probabilmente anche per questo, sorprendente e affascinante.